domenica 21 novembre 2010

Superpoteri!!! O no?

No ordinary familyCome dicevano gli Eagles - "non ci siamo sciolti, ci siamo presi una vacanza di 14 anni" - dopo qualche mese di assenza torno sulle pagine di questo mezzo blog mezzo giardino zen, dove quindi, ovviamente, la fretta non è di casa! E ci torno sulla scorta di un nuovo serial, No ordinary family, che riprende temi che ho già affrontato proprio qui, in una chiave più complessa, anche se apparentemente user-friendly. Cosa accade ai nostri supereroi? Un incidente in Sudamerica dona loro giustappunto dei superpoteri dei quali si accorgono col tempo e senza avere la più pallida idea del modo di usarli o dei loro limiti. Cosa farebbe una persona normale cui toccasse in sorte un tale dono? Questa è la prima domanda che si sono posti gli sceneggiatori e la risposta è curiosa: non grida di gioia, non meraviglia ed ebbrezza, ma timore. Desiderio di tornare normale, tanto che la bella Julie Benz - tra l'altro compagna di Dexter - scienziata di grandi capacità, per prima cosa cerca di scoprire con opportune analisi a cosa è dovuta la trasformazione per porvi rimedio... PORVI RIMEDIO??? Maddeché, direbbe Johnny Palomba *lol* Quale logica minore e castrante presiede a queste esplorazioni immaginali di temi terribilmente reali?

SmallvilleAnche il poveretto qui accanto si è trovato nelle condizioni della famiglia Powell per quasi una decina di stagioni, inceppato in rovelli morali e scelte equivoche tra verità e menzogna. Temi simili a quelli di No ordinary family, ma qui perlomeno abbiamo a che fare con un extraterrestre, qualche problema di appartenenza e alterità ci sta tutto. Invece i nostri sono umani e l'arrivo di questa "supermalattia" li allontana da se stessi, gli uni dagli altri e dal resto dell'umanità; invece di ringraziare protestano. Il che, per una cultura che non smette per un attimo di porre l'accento sull'importanza dell'unicità individuale, non è male... E rivela appieno il carattere ideologico di questa insopportabile litania. Quella apprezzata dalla cultura e retorica corrente è un'unicità falsa, superficiale, giocata entro limiti e scelte proposte da qualcun altro , revocabile e non urticante. Perché altrimenti andrebbe a cozzare contro un'altra divertente narrazione ideologica, quella della democrazia come "siamo tutti uguali", una delle idee peggiori che potessero venirci in mente, ma tanto necessaria a un consumismo universalmente diffuso. La democrazia è questione di dignità, non di prassi: il contadino è degno come il manager, il mediocre come il genio. Lo è perché è se stesso, come l'ormai famoso rabbino Meir  E siccome ognuno è unico a modo suo, altrimenti cadremmo in una contraddizione inevadibile, la differenza - anche radicale - diverrebbe fondamento contraddittoriale di com-unità.

E invece per carità! Vorrai mica che gli altri pensino che le tue qualità ti rendano migliore di loro?!? Che pensino che ti ritieni migliore di loro solo perché sei un supereroe? La voce del conformismo è molto più ascoltata di quella dell'eccentricità, di questi tempi e i dilemmi morali sono su scala micro, narcisistici pure loro. Diverso non è migliore, è solo naturale, ma questa è una semplice verità che sfugge. Il perché questo accada ha certamente molte radici, ma una credo di poterla indicare nell'ulteriore paradosso per cui l'unicità che ci viene ammannita come desiderabile risulta di fatto in una mancanza essenziale di unicità, in un impoverimento dell'interiorità tanto drastico e difficile da rimediare che genera rancore verso chiunque non si trovi in condizioni simili. Ed ecco che diverso diviene uno stigma, come la cronaca quotidiana strilla sempre più spesso. Come perfino nei serial si scopre. La percezione di sé della famiglia Powell, da questo punto di vista, è emblematica: quando il giovane figlio sfigato - divenuto nel frattempo un supergenio matematico (e figurati! Pensavate mica a un poeta? *lol*) - sfrutta le sue abilità, peraltro perfettamente in linea col fideismo scientistico corrente, per diventare un quarterback vincente, il babbo lo esorta a tornare se stesso prescindendo dal potere, quasi fosse un accessorio o peggio un tumore. Comunque qualcosa di esterno al sé, contaminante. Basta togliere il "super" e si scopre così il modo in cui si guarda oggi a ogni potere o talento fuori dalla norma asfittica degli uomini piccoli, degli uomini vuoti di Eliot, più una profezia che una poesia: "E' così che finisce il mondo / non con uno schianto ma con un lamento". L'inglese "not with a bang but a whimper" è ancora più spietato. Diceva Bon Jovi che è meglio andar giù "in a blaze of glory"... I tempi sono irrimediabilmente cambiati.

Vasi di coccio