lunedì 18 febbraio 2013

Noblesse oblige

Stavolta c'è bisogno di una piccola introduzione. Il post precedente è una lettera da me scritta al direttore di un noto periodico a proposito di alcune mie opinioni su un loro servizio. Constato con gioia che una volta tanto la bottiglia ha trovato il destinatario prima di anni di abbandono su una spiaggia :) Pubblico quindi qui la risposta dell'autore del servizio e, di seguito, la mia. Tutto sommato, c'è sempre speranza...

gentile professor D'Andrea,
il direttore mi ha trasmesso le sue considerazioni sul nostro servizio sull'università.
La ringrazio molto per l'attenzione e certamente lei ha ragione quando lamenta la scarsa attenzione per realtà come la sua.
purtroppo, però, quando lavoriamo su un tema ampio come l'università italiana siamo costretti, il più delle volte, a muoverci con le statistiche e con le valutazioni fatte dagli esperti che a loro volta valutano i dati globali. E lei stesso riconosce come il moltiplicarsi delle sedi universitarie non sia sempre stato limpido e di successo come l'esperienza umbra che lei ha voluto gentilmente raccontarci.
lei concorderà che spesso, nel decidere l'apertura di una sede distaccata, si sono seguiti criteri che hanno poco a che fare con la missione dell'università.
speriamo di poter fare meglio, ma, ci creda, l'impegno è massimo. così come speriamo che vorrà ancora avere ancora la volontà di leggerci e la pazienza di correggerci quando sbagliamo
molto cordialmente


Buonasera,
prima di tutto la ringrazio per la pronta risposta, che conferma la stima che nutro per la vostra équipe. So bene come si lavora in molti casi e immagino che spesso sembri l'unico modo accettato e accettabile di fare. Vivendo però nel mondo qui fuori, constato altrettanto spesso che tra i servizi della stampa, i pareri degli esperti e la realtà delle istituzioni e della lotta quotidiana che insieme a molti colleghi di valore di fatto affrontiamo ogni giorno c'è uno scarto sempre più ampio, uno scarto che non è più giustificabile semplicemente con le logiche del tempo e le richieste di questo o quell'apparato. Come sempre, gli approcci dovrebbero convivere, l'attenzione al dato e al globale sposarsi con la ricerca delle sfumature e delle peculiarità di un mondo molto più complesso delle nostre rappresentazioni e dei trucchi che mettiamo in atto per cercare di regalargli un ordine. Come dicevo al suo direttore, siete tra i pochi dai quali potrei aspettarmi una simile operazione coraggiosa e inattuale. La sua mail mi dà speranza.
Saluti e buon lavoro,

Un messaggio in bottiglia

Egregio direttore buongiorno,

sono Fabio D'Andrea, docente di Sociologia all'ateneo di Perugia e vostro lettore da non so più quanto. Apprezzo la gran parte del vostro lavoro, in particolare la serietà con la quale vi ostinate ad affrontare un mondo che di serio non ha quasi più nulla, ma a volte - in particolare in casi dei quali ho esperienza di prima mano - non posso non notare una spiacevole tendenza a replicare gli errori e i difetti che imputate, a ragione, ad altri. Di solito lascio correre; in altri casi, come questo, provo a far finta che una lettera possa fare una qualche differenza.

Si parla prevedibilmente di università, nello specifico del pezzo intitolato mi pare "Salvare l'università?", dove le autrici, oltre a definire simpaticamente le lauree del mio settore come "fabbriche di disoccupati", si interrogano sulle oscure ragioni per cui si siano attivate così tante sedi decentrate in giro per l'Italia. Lungi da me sostenere che si è sempre trattato di operazioni limpide o di successo; fatto sta, tuttavia, che io insegno non solo a Perugia, ma anche nella sede distaccata di Narni, dove è stato attivato il Corso di laurea in Scienze dell'investigazione e della sicurezza. Le ragioni, non oscure, della sua apertura stanno nell'intesa col Comune di Narni e la provincia di Terni al fine di varare un'operazione capace di dare nuova linfa e vitalità al centro storico di Narni. Operazione che ad oggi ha permesso l'apertura di un gran numero di nuovi esercizi commerciali, il recupero - attraverso fondi pubblici e comunitari - di palazzi e monumenti abbandonati da decenni e l'avvio di un corso di studi che da sei anni mantiene una media di iscrizioni di tutto rispetto (attorno alle 500 annue) e ha alte percentuali di ingresso nel mondo del lavoro dopo la laurea. Peccato che nessun professionista della carta stampata sia mai venuto a trovarci o abbia cercato, in giro per l'Italia, le realtà che funzionano nell'università, adeguandosi a triti luoghi comuni e aspettando - come accade sempre più spesso - che le notizie lo vadano a cercare e anche in quel caso lo trovino con difficoltà. Criticate spesso i politici per la prassi dei tagli lineari; potreste cominciare a dare il buon esempio evitando voi stessi questa prassi insensata!

A conferma di quanto appena detto, richiamo la Sua attenzione su un altro caso. Tempo addietro ho letto un articolo sulla famosa formazione 2.0, nel quale si osservava, di nuovo a ragione, che gli Stati Uniti e altre nazioni sono all'avanguardia in questo campo, tanto da mettere online la gran parte dei corsi consentendo così a chiunque di tracciare il proprio percorso di apprendimento. Succede anche in Italia; i miei corsi, ad esempio, sono online, a libero accesso, da dieci anni: ho molti studenti extrauniversitari che mi seguono con grande soddisfazione reciproca. Loro mi hanno trovato senza grandi problemi, di giornalisti non ho notizia. Capisco che secondo le graduatorie la nostra Università è risibile, ma sarebbe opportuno ricordare che ai primi posti di quelle classifiche ci sono, non a caso, quelli che hanno inventato e stilato le classifiche stesse e che incarnano un modello di cultura che si potrebbe legittimamente criticare, come si sta facendo da più parti. Lei mi dirà: avrebbe potuto avvisarci. Io le risponderò: non è il mio ruolo ed è una prassi che trovo insopportabile e alla quale non ho intenzione di adeguarmi. Per esigere novità la si deve praticare per primi. Mi piacerebbe vedervi riprendere qualche vecchio modo di fare professionale di cui si sente la mancanza.

La saluto e resto in attesa di un suo riscontro.

Fabio D'Andrea