martedì 3 aprile 2007

YouTube, MeTube... WhoTube?

Nella perenne rincorsa agli arretrati dell'Espresso, mi sono appena imbattuto in un articolo (che conto di aggiungere quanto prima all'archivio di www.sociologica.it) che offre spunti attuali per un tema antico, e probabilmente l'idea per un futuro saggio. L'articolo, come il lettore attento potrebbe sospettare , ha a che fare con il Web, in particolare con YouTube e con inediti comportamenti delle nuove generazioni in tema di privacy e riservatezza. Il tutto parte dalla constatazione che riserbo, vergogna e discrezione non fanno più parte del loro armamentario emozionale e relazionale. Che, come afferma Danah Boyd, una dei tanti guru che oggi affollano rete e media, "hanno abbattuto [le] mura [che le vecchie generazioni usavano per proteggere le zone più intime della personalità] e hanno cominciato a disperdere i loro pensieri reconditi sulla Rete e a permettere agli altri di intrufolarsi nel loro territorio mentale..." (L'espresso 8, 2007, pp. 176-177).Uroboros
Questo lo chiamerei un crocevia, dove si intrecciano discorsi sociologici e psicologici e, più latamente, esistenziali. Andando a disturbare Neumann e la sua Storia delle origini della coscienza, verrebbe quasi spontaneo un parallelo tra le mura medievali stigmatizzate dalla Boyd e il faticoso processo di costruzione del sé, tutto volto ad arginare la participation mystique uroborica e quindi proprio quella dispersione che invece la Rete sembra invitare nei suoi giovani frequentatori. E anche in quelli meno giovani, se vogliamo ricordare che la soggettività non è un fenomeno anagrafico, ma un flusso e una conquista quasi quotidiani. Cosa che sembrerebbe poter costituire un problema, se fossimo un tantino più attenti a ciò che accade (o, più spesso, non accade) dentro di noi, se quel processo di chiusura e fortificazione è il processo che ci ha permesso di diventare uomini coscienti. È vero d'altro canto che lo stesso Neumann ci segnala una difficoltà derivante dall'eccessiva accentuazione della separazione tra conscio e inconscio, dalla recisione di ogni legame dell'Io dalle sue radici emotive, caotiche e creative.
In questo senso, questa nuova tendenza la si potrebbe leggere col solito schema della corsa del pendolo: prima l'eccesso delle barricate, poi quello dell'abbattimento dei recinti...
Tutto questo sottintende però alcuni fatti dati come assodati ed aproblematici: quello che qui mi sembra più rilevante è la circostanza per cui si è comunque soggetti e queste dinamiche possono perturbare o aiutare questo nostro stato. Ed è qui, come direbbero i latini, che latet anguis in herba. Disturbando questa volta i teorici ottocenteschi (dio, Wilhelm von Humboldtquanto sono vetero ) della Bildung - e trovandosi d'accordo con loro, come mi succede - si scopre che la questione non è affatto così semplice, che il dialogo incessante tra conscio ed inconscio, tra esperienza intima di vita e rapporti col prossimo è uno dei fattori che innescano il processo virtuoso che porta alla soggettività, che senza di esso rischia di restare lettera morta, o seme che non dà frutto, tanto per disturbare anche qualcun altro... E che la posta in gioco sia proprio la soggettività lo dimostra il prosieguo dell'articolo: "La società si è trasformata in un concorso di esibizionisti", ci dice un altro esperto del settore. Ora, qual è la considerazione implicita dell'esibire? Proprio l'avere qualcosa che valga la pena di essere mostrato. Nel momento in cui ognuno si ritiene tanto interessante da valer la pena di darsi a vedere, compie un gesto di presunzione o di disperazione: o ritiene veramente di essere eccezionale, oppure bluffa e capovolge - come l'Occidente fa spessissimo - la logica delle cose, asserendo di fatto che il gesto del mostrare implica un contenuto rilevante. Cosa tutta da discutere. Nei terabyte di materiali che intasano la rete, di fatto, di interessante c'è sempre meno. C'è, di contro, la richiesta di attenzione per storie qualunque, vissute in superficie, clonate da modelli di più che dubbia significatività, che va a complicare ulteriormente - sia per i materiali che per l'esempio - la strada di quei pochi che si rendono conto che diventare qualcuno è parecchio più complicato di così. Qualcuno che somigli a noi stessi, e non a Paris Hilton.
Paris Hilton