lunedì 27 aprile 2009

Il Corpo 2.0: una metaconferenza

Ieri sera il club Brain 2 Brain di Mario Esposito ha organizzato in Second Life, presso il Pyramid Café a Vulcano, un incontro denso di sociologi su un tema secondo me centrale, di questi tempi: il corpo 2.0 per l'appunto, un intreccio di corporeità, sistemi simbolici, simulacri e altre intimazioni trasversali. Debora Viviani, Valentina Grassi e il sottoscritto hanno presentato brevemente i loro ultimi lavori sull'argomento e si sono poi intrattenuti a lungo con un pubblico attento e partecipativo (molto più facile da trovare in Second Life che nella real life, si direbbe) fino alle ore piccole. Mario è stato incredibilmente performante e quindi ho il piacere di proporvi il video della serata. Lo pubblico qui su Ciottoli, perché penso che anche questo sia uno dei futuri canali attraverso cui passeranno (già passano d'altronde!) la cultura, la formazione, il sapere.




Il Corpo 2.0 from MarioEs on Vimeo.

venerdì 24 aprile 2009

Buone pratiche e responsabilità diffusa

Su un recente Espresso (14/2009, pp. 156-159) c'è un articolo di un certo interesse - che trovate qui - sulle aziende italiane che valorizzano i dipendenti non solo a parole, ma anche nei fatti. Ci si trovano svariate cose sulle quali vale la pena riflettere, nel bene e nel male. Ad esempio, unoFailure degli estensori del rapporto Top Employers Italy 2009, di cui l'articolo dà conto, afferma: «Le aziende dovranno investire nei giovani talenti che si affacciano sul mercato del lavoro, dando loro autonomia e incoraggiandoli a prendere decisioni, assumersi responsabilità, promuovere iniziative.» Considerazione ineccepibile, se non fosse che non si capisce perché questo compito dovrebbero assumerselo solo le aziende, mentre le altre istituzioni coinvolte nel processo di socializzazione - agenzie, per chi ama i tecnicismi - ne rifuggono come dalla peste. Mancando nella vita l'effetto Hollywood - quello del lieto fine - dare autonomia e stimolare la presa di responsabilità implica la capacità di essere d'esempio a simili prassi, spesso trovarsi in situazioni scomode o sgradevoli in cui si deve dire no, correggere comportamenti inadeguati, constatare fallimenti. Una cosa di cui non c'è traccia nell'articolo, né nella retorica diffusa di cui è un ottimo specchio, è il comportamento di fronte al fallimento, analizzato con grande acume da Sennett nel suo splendido L'uomo flessibile. Trattazione che si occupa di un altro caposaldo delle buone pratiche narrate in Aziende da sogno, l'idea pseudo-libertaria di responsabilità diffusa, per cui nessuno è in grado di dare ordini perché si è tutti uguali e la spinta a far meglio nasce dal Human Resourcesgruppo e dal proprio senso del dovere. Apparentemente un'ottima idea, se non fosse che in ultima analisi cancella quell'idea di responsabilità di cui si parlava prima, facendo sì che di fatto un potere continui a esercitarsi (di nuovo nel bene e nel male, visto che attualmente sembra che i manager siano diventati i capri espiatori di tutto come può leggersi qui) senza però che in linea di massima se ne sopporti il peso. Bourdieu parlerebbe di habitus, Freud di Super-Io o di sua furba strumentalizzazione: i punti di vista abbondano. Sennett è più orientato a pensare a strategie di dominio che hanno però la controindicazione di svuotare vita e persone di senso e spessore, producendo quell'uomo postmoderno proteiforme e leggero tanto amato da Maffesoli, che spesso ne perde di vista lo smarrimento e il sospetto corrosivo di inutilità esistenziale.
L'altra questione in filigrana - posto che va comunque benissimo che qualcuno abbia forse raggiunto una visione integrata della Scuola delle Relazioni Umane - è: siamo proprio così sicuri che ci sia questa gran voglia di assumersi responsabilità, promuovere iniziative ed essere autonomi? Per quanto mi dolga dirlo, a me non pare...