lunedì 18 febbraio 2013

Un messaggio in bottiglia

Egregio direttore buongiorno,

sono Fabio D'Andrea, docente di Sociologia all'ateneo di Perugia e vostro lettore da non so più quanto. Apprezzo la gran parte del vostro lavoro, in particolare la serietà con la quale vi ostinate ad affrontare un mondo che di serio non ha quasi più nulla, ma a volte - in particolare in casi dei quali ho esperienza di prima mano - non posso non notare una spiacevole tendenza a replicare gli errori e i difetti che imputate, a ragione, ad altri. Di solito lascio correre; in altri casi, come questo, provo a far finta che una lettera possa fare una qualche differenza.

Si parla prevedibilmente di università, nello specifico del pezzo intitolato mi pare "Salvare l'università?", dove le autrici, oltre a definire simpaticamente le lauree del mio settore come "fabbriche di disoccupati", si interrogano sulle oscure ragioni per cui si siano attivate così tante sedi decentrate in giro per l'Italia. Lungi da me sostenere che si è sempre trattato di operazioni limpide o di successo; fatto sta, tuttavia, che io insegno non solo a Perugia, ma anche nella sede distaccata di Narni, dove è stato attivato il Corso di laurea in Scienze dell'investigazione e della sicurezza. Le ragioni, non oscure, della sua apertura stanno nell'intesa col Comune di Narni e la provincia di Terni al fine di varare un'operazione capace di dare nuova linfa e vitalità al centro storico di Narni. Operazione che ad oggi ha permesso l'apertura di un gran numero di nuovi esercizi commerciali, il recupero - attraverso fondi pubblici e comunitari - di palazzi e monumenti abbandonati da decenni e l'avvio di un corso di studi che da sei anni mantiene una media di iscrizioni di tutto rispetto (attorno alle 500 annue) e ha alte percentuali di ingresso nel mondo del lavoro dopo la laurea. Peccato che nessun professionista della carta stampata sia mai venuto a trovarci o abbia cercato, in giro per l'Italia, le realtà che funzionano nell'università, adeguandosi a triti luoghi comuni e aspettando - come accade sempre più spesso - che le notizie lo vadano a cercare e anche in quel caso lo trovino con difficoltà. Criticate spesso i politici per la prassi dei tagli lineari; potreste cominciare a dare il buon esempio evitando voi stessi questa prassi insensata!

A conferma di quanto appena detto, richiamo la Sua attenzione su un altro caso. Tempo addietro ho letto un articolo sulla famosa formazione 2.0, nel quale si osservava, di nuovo a ragione, che gli Stati Uniti e altre nazioni sono all'avanguardia in questo campo, tanto da mettere online la gran parte dei corsi consentendo così a chiunque di tracciare il proprio percorso di apprendimento. Succede anche in Italia; i miei corsi, ad esempio, sono online, a libero accesso, da dieci anni: ho molti studenti extrauniversitari che mi seguono con grande soddisfazione reciproca. Loro mi hanno trovato senza grandi problemi, di giornalisti non ho notizia. Capisco che secondo le graduatorie la nostra Università è risibile, ma sarebbe opportuno ricordare che ai primi posti di quelle classifiche ci sono, non a caso, quelli che hanno inventato e stilato le classifiche stesse e che incarnano un modello di cultura che si potrebbe legittimamente criticare, come si sta facendo da più parti. Lei mi dirà: avrebbe potuto avvisarci. Io le risponderò: non è il mio ruolo ed è una prassi che trovo insopportabile e alla quale non ho intenzione di adeguarmi. Per esigere novità la si deve praticare per primi. Mi piacerebbe vedervi riprendere qualche vecchio modo di fare professionale di cui si sente la mancanza.

La saluto e resto in attesa di un suo riscontro.

Fabio D'Andrea

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