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E già che parliamo di generazioni future, veniamo all'oggetto iniziale di questo post, dedicato all'emergenza sociale che oggi tiene banco, il bullismo e le sue ricadute multimediali. In prima battuta, non ho potuto evitare un brivido nervoso per l'ipocrisia diffusa con cui il tema viene affrontato un po' ovunque, nelle pillole di saggezza e nei pareri degli esperti. E poi mi sono autosnervato per la condiscendenza ipocrita con cui l'uso di questa categoria tratta la società e la cultura che esprime. Ipocrisia vorrebbe dire che qualcuno ha ben chiare le ragioni dell'escalation della violenza minorile e per suoi oscuri motivi le dissimula dietro letture da esse difformi, fatte di luoghi comuni e ciance assortite. Magari! L'età che avanza suggerisce che dietro l'idea che i cellulari ne siano in parte responsabili non ci sia altro che atrofia cerebrale, che lo stupore con cui si accolgono imprese e relativi filmati sia genuino. Dopo che da decenni si martella ovunque l'equazione "visibilità mediatica=esistenza" e la gemella "visibilità mediatica=successo" ci si stupisce che essa sia perseguita ad ogni costo, di norma con i mezzi più semplici, la violenza - individuale o di gruppo - o il rischio della vita. Dopo decenni in cui si è profuso ogni sforzo per trasformare i bambini, o ragazzini, in consumatori simili agli adulti, ci si stupisce che essi, sprovvisti delle più elementari leve critiche, adottino anche gli altri lodevoli modelli di comportamento che gli adulti offrono loro.
Uno dei pochi che oggi sembra conservare senso di responsabilità e,
Vedevo che i clan del centro storico meno potenti si stavano riorganizzando. E il primo passaggio è stato quello di ritornare sul territorio, negozi, magazzini, salumerie, le nuove leve dei clan stanno invece pensando a come tornare ad apparire mediaticamente i più temibili, divenire nuovamente quelli appartenenti al quartiere che più fa paura: "Dobbiamo far vedere a quelli di Scampia che noi siamo i peggio". Il medesimo stile che sta facendo comprare a moltissimi ragazzi dell'area nord di Napoli lo scooter T-max perché usato dalle paranze di fuoco dei Di Lauro per la parte maggiore degli agguati, una sorta di cavallo meccanico dell'apocalisse. Ma la loro ferocia è la medesima di chiunque possa considerarla uno strumento per crescere economicamente, iniziare un percorso nel mercato. L'ossessione del divenire commercianti e imprenditori, e di considerare lecita ogni forma per raggiungere una meta, l'ossessione che, rendendoli rivali, accomuna non solo i quartieri storici del centro alle periferie e ai paesi del hinterland, ma apparenta Napoli a Mosca o a Rio de Janeiro e mette in relazione le bande che rubano ed estorcono con l'uso di una violenza spropositata, strafatta, adrenalinica con le gang che dilagano per il Centro e Nordamerica, in Africa, in ogni altra parte del mondo.
Se ogni forma è lecita pur di raggiungere la meta che questa cultura ritiene la sola auspicabile, il successo economico e la visibilità che ne consegue - che a un livello più profondo significano esistenza dotata di un senso - perché il bambino o ragazzino non dovrebbe ricorrere ai mezzi a sua disposizione, nutriti dei tanti pregiudizi in cui si è trasformata la libera e responsabile attività del pensiero? Perché non picchiare un qualche portatore di stigma o, in sua assenza, stigmatizzare qualcuno per poterlo picchiare e vantarsene? Perché non replicare le "nuove" pratiche di conquista erotica, segno di una crescente incapacità comunicativa e della violenza brutale che ne consegue? Cosa c'è di strano o di stupefacente? La sola cosa strana è il fatto che queste semplici correlazioni non vengano in mente... Fortuna che c'è Cipolla che offre una desolante, ma efficace, chiave di lettura a questo ingombrante quesito.