mercoledì 6 giugno 2007

Qualche idea sul fantasy

Si fa presto a dire fantasy, soprattutto in Italia, dove il termine "fantasia" soffre di inossidabili preconcetti e sta riemergendo dal dimenticatoio attraverso la cooptazione interessata dell'economia, che l'ha trasformata in creatività mirata alla produzione di nuove merci. Non che questo accada solo da noi, ma qui siamo vittime di una spocchia particolare per cui tutto ciòGhiaccio bollente che non è contemplazione verbosa del proprio ombelico viene visto come letteratura di serie B, indegna dell'attenzione adulta dei lettori. Specie, peraltro, in via d'estinzione, ma questa è un'altra faccenda. Ad ogni modo, il lettore "forte", in Italia, ritiene in linea di massima di non sprecare il proprio tempo con argomenti per l'appunto fantasiosi, guardando Il Signore degli Anelli come un momento di istupidimento collettivo e tralasciando ogni contatto con altri universi che nel frattempo, in altre nazioni, prendono forma e si rivelano come fenomeni letterari degni di grande rispetto. Credo che quello che ho scritto a proposito di 300 sia piuttosto indicativo: non è comunque mia intenzione tornare adesso sulle questioni dell'immaginale e del danno che il divorzio occidentale dal suo mondo ci sta procurando. Né voglio scrivere di un'altra faccenda spinosa, ossia dell'abbandono da parte della "Sinistra" di questi temi a una strumentalizzazione da parte della "Destra", che è di suo piuttosto fiacca, ma gode del fascino ancestrale che un tale apparato simbolico-narrativo esercita di per sé su chiunque, indipendentemente dalle sue convinzioni o dai suoi pregiudizi...
Certo, lo stigma in questo senso ha radici comuni col tema sul quale volevo dilungarmi, ossia la trama della Canzone del Ghiaccio e del Fuoco di George R.R. Martin (pare che se non hai 2 R nel nome non puoi scrivereSarà Ghost? fantasy ), perché deriva secondo me dalla distinzione marxiana tra struttura e sovrastruttura, intesa nella fattispecie al quadrato. Deriva, in ultima istanza, dal pregiudizio economicistico e dal giudizio di inutilità conseguente su filoni e creazioni fondamentalmente ispirati ad altri valori, percepiti in modo oscuro come pericolosi. D'altro canto credo che proprio questa sia una delle radici più coscienti del crescente interesse per il genere che, anche in Italia, nonostante quanto detto prima, viene lentamente conquistando spazio. Ci si potrebbe chiedere cosa c'entri questo col lavoro di Martin: per chiarire la cosa, sarà il caso di dire preliminarmente qualcosa sulla Canzone. Si tratta di un'opera grandiosa, nella quale numerose trame si intrecciano a descrivere quello che gli scettici potrebbero definire l'ennesimo mondo fantasy. Il punto è che lo spessore di Westeros è del tutto atipico: la ricchezza della sua cultura, la profondità storica della ricostruzione - trattandosi di un universo medievale nel quale vigono le leggi del sangue e dell'onore, il parallelo col Medioevo storico è fondante - sono impressionanti e l'arte dell'autore nel gestire l'intera materia degna di invidia e fonte di ore di lettura ipnotica. Dov'è il problema?The Wall
Definirlo problema è forse esagerato, ma il mio grado di esasperazione verso le semplificazioni economicistiche è sempre più acuto: trovarmelo incarnato in uno dei personaggi più subdoli ed efficaci dei cinque romanzi che si sono succeduti fino ad oggi è quasi doloroso Parlo di Littlefinger, del quale non ho presente la traduzione italiana, il Mastro di Zecca del reame e colui che finora è riuscito a farsi beffe dell'intero sistema di valori tradizionale di Westeros, piegandolo ai suoi fini grazie a un'intelligenza notevole e all'uso spregiudicato del denaro e delle costrizioni che detto sistema esercita su coloro che ne fanno parte. La morale è che l'intero mondo così amorevolmente ricostruito assume sempre più, alla luce delle imprese del signore del colibrì, l'aria di una facciata vuota, di un guscio pronto al collasso. Certo, Littlefinger è una delle possibili soluzioni; ci sono anche in gioco i Draghi dell'Est e i pericoli del Nord, Daenerys e Jon Snow, cosicché l'intera saga potrebbe esser letta come uno studio in figura epica delle possibili evoluzioni della nostra cultura se la scienza non vi avesse così vigorosamente attecchito. Più che un'evoluzione materiale, direiDaenerys Targaryen un'evoluzione spirituale, mentale, dove lo spazio per il disincanto - che pure in Westeros è uno dei grandi problemi con i quali l'intera società si sta confrontando, visto lo scetticismo con cui i reami del Sud accolgono una serie di notizie cruciali - è ancora contenuto e una qualche misericordia divina si sta adoperando per frenarne l'espansione. Voglio augurarmi che, almeno in Westeros, l'economia fallisca nelle sue trame e non sostituisca la magia del tintinnio dell'oro a quella del volo incantato dei draghi.

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