domenica 15 giugno 2008

Cose che non ti aspetti

La nuova campagna MotorolaUno i libri li compra e li mette lì. Spesso non li legge subito, spesso passano mesi se non anni prima di prenderli in mano. Poi qualcosa ti risuona in testa e ti trovi con un'improvvisa curiosità di vedere che c'è scritto e cominci. Nel frattempo hai letto altro, stai leggendo altro. Spesso ho la sensazione che le cose che leggi, studi e pensi interagiscano tra loro alle tue spalle, mentre sei disattento o proprio non ci sei e ti giochino dei tiri, bonari. Si divertano a organizzarsi come un attrattore strano e a farti incappare in traiettorie che mai e poi mai ti saresti imamginato... Sto leggendo un libro di Rifkin, L'era dell'accesso, che era lì da un po', in attesa. Più o meno nello stesso periodo ho cominciato un romanzo giapponese di inizi '900, Io sono un gatto, acquistato senza saperne nulla, per il titolo e la copertina. Doveva essere lo spazio libero da scopi universitari, l'angolino in cui ti isoli per qualche tempo ogni giorno per rifiatare. Beata illusione! Per qualche tempo mi sono limitato a riportarne passaggi particolarmente stuzzicanti su Aforismatica, poi la cosa si è complicata.

Jeremy RifkinTesi principale di Rifkin è che siamo a un altro punto di svolta nella storia della nostra cultura. Al concetto di proprietà, statico, saldo, duraturo, si sta rapidamente sostituendo quello di accesso, temporaneo, mutevole, scostante, molto più adatto alle dinamiche frenetiche del tempo e soprattutto al costante "miglioramento" delle caratteristiche degli oggetti, che invecchiano con rapidità tale da rendere impensabile il tenerli con sé troppo a lungo. Questo ovviamente crea problemi alle industrie, che devono rivedere in modo radicale le loro strategie verso i consumatori, che non sono neanche più tali: si trasformano infatti in destinatari di servizi. Non si vende loro qualcosa, si soddisfa una loro esigenza attraverso i mezzi e i termini di volta in volta più adatti. L'architettura delle esigenze e dei bisogni dei soggetti è quindi il nuovo obiettivo cui le aziende dedicano le loro energie. Uno dei sistemi più furbi da loro escogitato ha a che fare con l'intercettazione delle necessità relazionali, sempre meno soddisfatte da una società secondarizzata all'eccesso: le aziende mirano a divenire titolari della fiducia e dell'affetto degli ex-clienti, così fidelizzandoli al di là di ogni ragione strumentale e seduzione economica - che intanto continuano però a essere sbandierate come unici criteri di scelta e orientamento nella vita... L'idea, conviene Rifkin, è raccapricciante, degna di questa nuova fase culturale.

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A quel punto - racconta Meitei, uno dei protagonisti di Io sono un gatto, parlando di una truffa commerciale di cui ha letto - gli dico che non si deve preoccupare per il pagamento, se il dipinto gli piace, può portarlo via. Il Ikebanacliente esita, protesta che on può accettare. Allora, insisto, può pagare poco per volta ogni mese. Piccole rate su un lungo periodo, tanto ormai diventerà un cliente..." Il romanzo è del 1905, la sensazione che non ci sia niente di nuovo sotto al sole per chi ha occhi per vedere è tanto schiacciante da confinare con la noia esistenziale *sigh* E non finisce qui. Meitei prosegue, in uno dei tanti momenti di socievolezza simmeliana che costituiscono l'intero romanzo, spiegando al suo piccolo uditorio perché presto non ci saranno più famiglie. È un problema di personalità: "Quando un clan familiare era rappresentato dal capofamiglia, un distretto dal suo delegato, un paese dai governanti, solo questi rappresentanti avevano una personalità, gli altri individui no. E se l'avevano non veniva riconosciuta. Ora che la situazione è drasticamente mutata, ognuno vuole esternare a tutti i costi il proprio carattere ed evidenziare la differenza tra se stesso e gli altri, io sono io, tu sei tu. Se due persone si incontrano, proseguono ognuna per la propria strada, sfidandosi in cuor loro: se tu sei una persona, lo sono anch'io. Tale è la forza che ha acquisito l'individuo. Ma se gli individui sono diventati equamente forti, sono anche diventati equamente deboli. Forti, perché ormai nessuno può ledere i loro diritti a proprio arbitrio e capriccio, ma palesemente più deboli di un tempo non potendo più imporre la propria volontà agli altri. Ora se tutti sono contenti di acquisire forza, nessuno è felice di essersi indebolito; il risultato è che ognuno, per non venire sopraffatto neppure in minima misura e prevaricare almeno un poco sui suoi simili, difende con le unghie e con i denti i suoi lati forti mentre cerca di sbarazzarsi di quelli vulnerabili. Arrivati a questo punto lo spazio tra una persona e l'altra viene a mancare e la vita diventa difficile. Diventa sofferenza, una condizione di tensione estrema al limite delle possibilità umane. E poiché si soffre, si cerca con ogni mezzo di creare tra un individuo e l'altro uno spazio dove muoversi più liberamente. L'uomo è causa del proprio male, e la fonte prima del suo dolore è il distacco della generazione dei genitori da quella dei figli."

Per uno che sta studiando l'importanza smarrita delle relazioni primarie e il ruolo contemporaneo dei mondi virtuali alla Second Life c'è di che riflettere. E restare di stucco di fronte alla lucidità di visione di uno scrittore giapponese che dal suo punto di vista altro aveva capito parecchio già un secolo fa e lo canzonava con ironia lieve e acuminata. Un ultimo passo (per i precisi inguaribili le citazioni vengono da Natsume Soseki, Io sono un gatto, Neri Pozza, 2006, pp. 470; 473-476): "Un bel giorno un filosofo discenderà dal cielo per predicare una nuova verità. Ecco quello che dirà: l'uomo è un animale dotato di personalità. Annullare questa personalità equivale ad annullare l'uomo. Per dare un senso, anche minimo, alla sua esistenza, è necessario preservare e sviluppare la sua personalità, qualunque sia il prezzo da pagare. Continuare a sposarsi, costretti da un'abitudine perversa, è una barbarie contraria alla natura umana, una barbarie perdonabile in un'epoca ignorante in cui la personalità non si era ancora sviluppata, ma nella nostra epoca civilizzata non fermarsi a considerare la scelleratezza di quest'usanza perniciosa sarebbe un grave errore."
Uno scorsio giapponese

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