sabato 4 febbraio 2012

Walking/reading

The labyrinth offers us the possibility of being real creatures in symbolic space. I had thought of a children's story as I walked, and the children books that I loved best were full of characters falling into books and pictures that became real, wandering through gardens where the statues came to life and, most famously, crossing over to the other side of the mirror, where chess pieces, flowers and animals all were alive and temperamental. These books suggested that the boundaries between the real and the represented were not particularly fixed, and magic happened when one crossed over. In such spaces as the labyrinth, we cross over, we are really traveling, even if the destination is only symbolic, and this is in an entirely different register than is thinking about traveling or looking at a picture of a place we might wish to travel to. For the real is in this context nothing more or less than what we inhabit bodily. A labyrinth is a symbolic journey or a map of the route to salvation, but it is a map we can really walk on, blurring the difference between map and world. If the body is the register of the real , then reading with one's feet is real in a way reading with one's eyes alone is not. And sometimes the map is the territory (R. Solnit, Wanderlust, London, Verso, 2002, p. 70).
Per quanto si possa essere scarsi nella meditazione e nelle pratiche introspettive, alla lunga provarci paga e lo zen ti mostra quanto sarebbe meglio se riuscissi ad applicarlo più spesso, alla faccia di autorappresentazioni e socializzazioni varie. Giorni fa, su Aforismatica, ragionavo di sfondamenti tra realtà e immaginazione ad opera di strani libri e poi mi ritrovo con questa bella suggestione della Solnit, che tra l'altro mi permette di rimanere vicino ai miei propositi di scrivere il più possibile in inglese, almeno su questo blog. La questione è molto interessante, perché il suo ragionare di labirinti e giardini mostra quanto la nostra cultura si sia sentita a suo agio, a lungo, con commistioni di piani che oggi troviamo a dir poco sconvenienti, intenti come siamo a fugare tutto ciò che non è concreto dalle nostre vite. Senza accorgerci che così fughiamo noi stessi e ci costringiamo in un inferno di noia e grigiore. Le idee chiare e distinte del buon Cartesio, nella loro pretesa sovranità, si rivelano per quel che sono, uno degli incubi di una ragione ormai irragionevole e per di più incoerente e incapace di sorvegliare perfino i suoi territori d'elezione. Perché, come dicevo sull'altro blog, un libro vero scritto da un personaggio inesistente non può non generare una vertigine e un dubbio, seppure momentaneo. Spinge necessariamente a interrogarsi sul confine tra realtà e finzione e sul carattere della finzione, che è anche immaginazione ed è tanto potente da causare la comparsa, nella realtà quotidiana, di qualcosa di soltanto immaginato fino a poco prima. Che il movente sia economico poco importa, l'effetto lo sorpassa e fa impallidire al di là di ogni pretesa di controllo razionale e riapre i territori dove immaginare è lecito, perfino immaginare un altro modo di vivere che prescinda dall'economia.
La Solnit, però, pone anche altri interrogativi. La pratica di percorrere il labirinto, come seguire la Via Crucis, si fonda sul movimento contrario a quello di cui parlavo. Significa penetrare fisicamente - con quello che riteniamo essere il più materiale dei nostri tratti, la corporeità, che dovrebbe tenerci coi piedi per terra! - in uno spazio altro, vivere il simbolo e lasciarcene influenzare. Il che vuole anche dire che lo spazio stesso non è ovunque uguale e privo di qualità, come insegna l'onnipresente Cartesio, ma può variare, aprirsi a livelli diversi di essere, cosicché il cammino si dipana allo stesso tempo sul selciato di una cattedrale e nel tempo di una vita, lungo un sentiero di montagna e verso il Golgota. Dice ancora la Solnit:

Part of what makes roads, trails and paths so unique as built structures is that they cannot be perceived as a whole all at once by a sedentary onlooker. They unfold in time as one travels along them, just as a story does as one listens or reads, and a hairpin turn is like a plot twist, a steep ascent a building of suspense to the view at the summit, a fork in the road an introduction of a new storyline, arrival the end of the story. Just as writing allows one to read the words of someone who is absent, so roads make it possible to trace the route of the absent (ivi, p. 72).
A voler applicare il ragionamento al libro di Castle, è lecito chiedersi dove porta il viaggio della sua lettura, in quale dimensione del multiverso si segue il cammino del suo fantomatico autore. E ancora, quanto si è persa la nostra abilità simbolica se non sappiamo riconoscere la meravigliosa qualità del leggere o del camminare...


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