sabato 28 gennaio 2006

Simmel e i periodici

Le prime cose sono sempre le più difficili da scrivere, anche se si tratta soltanto di ciottoli, termine più orientale che ho scelto per parlare di frammenti, schegge, accenni, affioramenti di idee eccetera eccetera. Ho sempre difficoltà a definire un inizio. Ne ho sempre avute, adepto anzitempo della forma formans e quindi in fuga dalla noia mortale che viene dall’intraprendere un progetto del quale si sa già dove andrà a finire. A questo proposito Maffesoli cita una splendida frase di Benjamin che potrebbe essere il manifesto di queste pagine virtuali: “L’opera è la maschera mortuaria della concezione”. E allora eccomi qui che mi dibatto in un abbozzo di idea, vedendomi lampeggiare davanti agli occhi spunti interessanti ma ancora incapace di preferirne uno, anche se sotto sotto lo so dove vorrei andare a parare. Vorrei prendermela un po’ con questa malefica trovata del “progetto”, che avvelena la vita e le ruba ritmo e sostanza, trovata contrabbandata per di più come sprazzo di genio e che non fa invece che sterminare l’incanto dei giorni, ipotecando il futuro e rendendolo inutile di esser raggiunto.




Accidenti, avevo pensato di restare più sul fair play, invece di ritrovarmi nel bel mezzo di un’invettiva, ma tant’è! Pian piano imparerò a dosare anche queste righe. A prescindere dallo stile, però, il senso c’è e per darne una percezione migliore ho pensato di ricorrere al mio maestro – anch’egli virtuale, ma per un problema di diacronia – Georg Simmel e a uno dei tanti spunti che mi ricordo, senza però sapere da dove, senza potergli quindi dare un’adeguata veste formale in sede di saggio scientifico Notava, Simmel, che l’idea di stampa periodica è in fin dei conti un controsenso, laddove si intenda la notizia come qualcosa di cui vale la pena informare un qualche pubblico. Perché chi garantisce ai redattori la disponibilità regolare di notizie? La loro necessità, generata dagli investimenti in apparecchiature, stipendi e materie prime, di presentarsi regolarmente in edicola non farà che obbligarli a costruire come notizie fatti che si potrebbero senza alcuna difficoltà passare sotto silenzio, incrementando la mole già smodata di cultura oggettiva che asfissia i poveri soggetti e disorientandoli sempre più. Allo stesso modo, questa regolarità potrebbe costringere i valenti giornalisti a non riuscire a dar conto di un periodo particolarmente “interessante” – à la Mao – perché le maledette notizie potrebbero allora presentarsi in modo concitato e disordinato, rendendo controproducente la “saggia” pianificazione economicamente fondata…




L’aspetto strumentalmente soffocante dell’idea di progetto assume caratteri iperbolici quando la si applica alla ricerca scientifica (e qui la lingua batte dove il dente duole ). Non so se coloro che sembrano preferire lo schema alla ricerca stessa (forma contro vita? Ma dai!) si rendano conto o meno del paradosso, ma se veramente cerco qualcosa non so assolutamente come trovarlo prima di averlo trovato, figuriamoci prevedere i diversi steps che mi ci porteranno e il tempo che mi occorrerà per completarli. Di fatto è una gigantesca presa per i fondelli, reciproca e condivisa, per ingigantire ancora una volta la massa (la quantità? Ma dai!) di prodotti scientifici – e anche qui l’uso del termine spinge a serrare le mascelle per non urlare! – che la nostra cultura si inorgoglisce di evacuare costantemente sul mercato, nella strenua convinzione che tanto sia buono e di più sia meglio. Al di là di questo, tuttavia, la questione è anche più esistenzialmente profonda: dov’è lo stimolo a raggiungere un domani del quale si sa già tutto: la scansione degli impegni, il tempo atmosferico, gli incontri, il luogo dove avverrà? L’unica cosa che può avere di buono una pianificazione così spinta è che mi permette di dare i giorni per già vissuti con largo anticipo e quindi strappati simbolicamente alla morte, anche se – come nota il buon Woland – “è proprio dell’uomo essere mortale all’improvviso” e non credo che al saldo finale un progetto di giorno valga quanto un giorno vissuto. L’ironia profonda di questa smania regolativa sta proprio qui: nel fatto che, pur senza morire, si passa di progetto in progetto, perdendo di vista il fascino, il rischio e la sorpresa della vita che si fa, continuamente dimentica dei nostri programmi. E l’aver precedentemente progettato ci lascia a disposizione, nel migliore dei casi, una soddisfazione disincantata per lo svolgersi regolato dei fatti previsti: nessuna gioia in caso di successo, terribili frustrazioni in caso di (probabile, per la legge di Murphy) fallimento. Frustrazioni amplificate dalla posta in pegno metafisica di ogni questione di controllo: se non riesco neanche a fare il tagliando alla macchina, figurati sopravvivere con una certa tranquillità!



Tante parole per dire che non so che ritmo avranno i post in questo blog, vero? Né se si rivelerà una buona idea o l’ennesima meteora. Quel che certo è che per ora tutto mi sembra tranne che una maschera mortuaria 

1 commento:

  1. L'uomo ha costantemente la necessità di sentirsi al sicuro e di cogliere qualcosa di noto in ciò che gli sta intorno. E' proprio il suo desiderio di colmare le sue insicurezze che si "danna" la vita definendo progetti su progetti. Ma cos'è un progetto se non si tiene conto della reciprocità del rapporto con l'altro? E' con gli altri che l'uomo recupera l'esigenza vitale di solidarietà, esigenza soddisfatta solo vivendo ogni giorno con pienezza, accettando il rischio e la sorpresa. Successi e fallimenti sono segni indelebili che l'uomo lascia vivendo pienamente la propria vita, in accordo con ambiente e vocazione soggettiva, seguendo il cuore. Passando di progetto in progetto si rischia di arrivare all'ultimo passo di danza - come canta Branduardi-

    " Il giro di una danza

    e poi un altro ancora e

    tu del tempo non sei più Signora"

    senza accorgersene.

    Rita L. 3° EPID

    RispondiElimina