domenica 12 ottobre 2008

Penna o PC?

Popular PenIl dibattito ferve, anche se negli angoletti dei giornali e in convegni non proprio da prima pagina ed è un bene che sia così. Anche per incentivare la riflessione, riprendo un trafiletto della rubrica NON SOLO CYBER de L'espresso (39/2008, p. 173) in cui Antonio Tursi dà conto delle parole di un pedagogista, Franco Frabboni, che sostiene: «Un testo scritto a mano contiene una riflessione. Un testo scritto al pc o con il telefonino, il più delle volte, assolve alla funzione di trasmettere un messaggio [...]. Considero l'uso del computer uno dei segnali della perdita di corporeità dei nostri ragazzi. Vita sedentaria, isolamento, perdita della manualità, riduzione della capacità di introspezione e riflessione». Ora, per carità, scrivo al pc da anni, anche se per certe cose mantengo imperterrito carta e penna, ma non mi sento di condividere in toto le critiche mosse a questi appunti da Tursi, che dice tra l'altro: «I facitori del sistema scuola possono continuare a denunciare la distanza tra i loro modelli lineari e unidirezionali di insegnamento e le dinamiche collaborative e orizzontali di condivisione e apprendimento che le giovani generazioni sviluppano al di fuori dell'aula» e altre simili osservazioni. Che tradiscono però un netto pregiudizio a favore dell'attuale e contro l'antico che puzza un po' troppo di mito del Progresso a tutti i costi. Sarà anche vero che il futuro impone di provare a cambiare gli schemi mentali... Ma questa cosa delle imposizioni del futuro, dipinte come inevitabili, mi stanca sempre di più. Chi l'ha detto che non si può che proseguire su questa china? Soprattutto quando ciò che si osserva, da un punto privilegiato come l'università, è un ripido peggioramento delle capacità di concentrazione e riflessione, in linea con quanto sostenuto dal "dinosauro" Frabboni. Perché dev'essere necessariamente vero che ciò che abbiamo oggi è migliore di quello che avevamo ieri, da tutti i punti di vista? Certo, il pc è un grande strumento per certe attività, ma accentua Screenradicalmente le meccaniche di esteriorizzazione della mente e della coscienza e la separazione dalla materia del mondo. Come affermava De Kerckhove al convegno di giovedì su SL, questo può risultare nella perdita di capacità di interazione in presenza, nell'incapacità relazionale e il disperdersi nella Rete è, per l'appunto, un disperdersi. Possiamo fare del tutto a meno del movimento che riporta al centro, nell'interiorità con la quale l'Occidente non ha mai avuto buoni rapporti, oppure ne va della possibilità di costituzione della soggettività umana? Sembra di intuire una grande assenza vociante, guardando avanti, e non so se ritenerla ineluttabile e inchinarvisi sia un'idea sensata...

4 commenti:

  1. Possiamo dire anche che, un tempo, l'informazione era potere. Oggi, visto l'esubero e la velocità di informazioni, la vera sfida è nel discernimento delle informazioni... E nella capacità di "fermarsi"... Altrimenti niente discernimento... E forse, Prof. D'Andrea, uno spunto ci viene da Simmel nella sua distinzione tra mezzo e fine... Che ne dici?

    Giulio

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  2. Ma è possibile che devono arrivare i miei laureati di svariati anni fa per scrivere commenti su questo blog??? :) Certo Simmel e ci metterei anche il narratore di Benjamin, volendo...

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  3. La vecchia guardia non tradisce mai!! ..;-)

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  4. Aggiungerei il tag di "società liquida" al suo post, ricordando naturalmente le affermazioni di Bauman.

    Come possiamo conciliare a scuola l'educazione formale con quella informale? Vada a vedere il video nel mio blog, creato da un ragazzo di seconda media che utilizza con estrema facilità la cassetta degli attrezzi del Web 2.0!

    Un affettuoso saluto dalle Dolomiti

    Betta

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