domenica 19 febbraio 2012

Alla corsara 1 - Scuola e stipendi

Ho sempre visto come una delle dimensioni centrali della mia riflessione e del mio insegnamento la messa in luce degli aspetti non ovvi della quotidianità e l’insinuazione del dubbio che anche quelli più “scontati” potessero di fatto non esserlo. Un tema sul quale ogni tanto si appunta l’attenzione dei media, lo stipendio dei docenti, si presta molto bene a esemplificare questo aspetto: è un argomento dove il peso del luogo comune e del pregiudizio è tanto preponderante da causare contraddizioni macroscopiche a livello programmatico, tra le quali l’opposizione tra il mantra dell’importanza della ricerca e della formazione e il non cale assoluto nel quale vengono tenuti gli operatori che dovrebbero occuparsene.
Il problema è quello dell’immagine dell’insegnante e della brutale scorciatoia economica che permetterebbe, almeno in parte, di sanarlo. Vediamo più da vicino quest’immagine. L’insegnante, anche per motivi storici di selezione in Italia, è quasi sempre donna e spesso di mezza età, è vista come colei che discorre più o meno sensatamente con la sua classe per qualche ora al mattino (3,5 se non erro) per poi dedicarsi, nel resto del tempo, ad attività prossime a quelle delle casalinghe – altro terreno sul quale una seria proposta politica alternativa sarebbe ben più che auspicabile, dopo una profonda revisione di stereotipi e pregiudizi. Gode di più di due mesi di ferie e, essendo titolare del secondo stipendio di casa, non si vede cos’abbia da lamentarsi. Già a questo punto, però, ci troviamo davanti a un aspetto della contraddizione di cui parlavo prima: può essere che un processo cardine dell’assetto del tessuto sociale come il processo di socializzazione – di cui la scuola è agenzia fondamentale – sia affidato a questo universo di zie benevole? E che possa esser messo in atto con tanta nonchalance, con tre ore e mezza al giorno? Mi pare un contrasto stridente, sul quale occorre ragionare cercando di sottrarsi all’influsso dell’etichetta e di “incarnare” l’importanza astratta che si attribuisce all’attività nella prassi di vita dei suoi specialisti, perché a tutti gli effetti il processo sono loro. È concetto comune, tra gli addetti ai lavori, che un’ora di lezione debba essere moltiplicata per tre in termini di impegno lavorativo, per il tempo che occorre a prepararla e per le attività didattiche connesse (correzione compiti, progettazione esercitazioni, etc.); a questo si dovrebbero poi sommare la miriade di impegni burocratico-organizzativi che un’istituzione tutt’altro che moderna impone costantemente e con tendenza all’aumento, come consigli di ogni genere, redazione di piani, rapporti e giudizi; il rapporto con i genitori, che grazie all’immagine di cui stiamo discorrendo è sempre più difficile; l’interrogativo perenne dei casi difficili presenti in classe, la domanda sul comeriuscire a catturare l’attenzione degli allievi in circostanze sempre più complesse… Questo pertiene al ruolo insegnante, questa è la vita prevista di chi sceglie uno dei mestieri più difficili e importanti per noi tutti, non tre ore al giorno di chiacchiere.


Questo però – e qui il problema si diversifica – è ciò che non si vede, un’attività che non genera prodotti e che spesso può apprezzarsi, in coloro che ne sono oggetto, dopo anni. Entra in gioco un altro aspetto dell’ideologia col quale fare i conti: il lavoro è quello che produce cose, oggetti, merci, quello che è quantificabile e immediatamente constatabile. Il nocciolo della visione aziendalista che trova troppo ascolto anche nell’attuale sinistra. Visione del mondo che trova nelle professioni intellettuali un grosso ostacolo, perché è difficile stimare l’importanza di un’ora di lezione o di una pagina, di una riflessione e soprattutto la sua capacità di generare reddito: tanto vale, in linea di massima, considerarle tutte ciarle prive di senso e trattare di conseguenza quelli che se ne occupano. Questo discorso deriva da una semplificazione brutale in cui la qualità è ridotta a quantità e dove il valore dell’innovazione e dell’informazione – parole chiave dell’epoca – viene ridotto a un miope conto profitti e perdite di brevissimo periodo. Aggiungerei anche questa alle riflessioni sulla sinistra: sinistra dovrebbe essere anche liberarsi dall’unico metro di giudizio della produttività immediata, dalla riduzione di ogni cosa all’ottica economica, di cui espressioni come “capitale umano” sono una sottile e pervasiva manifestazione. L’umano è molto più di una qualunque forma di capitale, è autonomia di pensiero, solidarietà, spessore etico, accanto, insieme, alla capacità performativa che è invece il solo criterio correntemente accettato. E tutte queste dimensioni sono la posta in gioco dell’operato della scuola.


Mi sembra già di sentire: “Ma come, sei contro l’economicismo e parli dell’importanza dello stipendio degli insegnanti? Dovresti concentrarti su cose diverse, simboliche, meno pacchiane…” Per carità, amerei poterlo fare, come amerei vivere in un altro mondo. Il problema è che il mondo a disposizione è questo e anche la cultura che lo muove. Se vogliamo realmente iniziare a modificare lo stato delle cose, dovremo operare radicalmente su quella cultura, usando i suoi strumenti in modo diverso, creativo, innovativo, per esporne le contraddizioni e generare un corto circuito che apra le finestre e faccia entrare aria nuova. Quando si riconosce a una professione svalutata una stima monetaria (un valore simbolico, perché il denaro è anche e forse soprattutto agente simbolico!) incongruente al riconoscimento generale non può non scaturire l’interrogativo: perché quei nullafacenti si trovano d’un tratto tutti quei soldi? Forse non sono nullafacenti, forse c’è qualcos’altro in ballo che non le tre ore al giorno… Tony Blair non ha fatto altro quando ha rivisto radicalmente gli stipendi e incoraggiato professionisti di altri settori a passare all’insegnamento: ha dato loro visibilità e stima sociale e una retribuzione adeguata per cercare di arginare la catastrofe educativa che minaccia il Regno Unito. È chiaro che questo passo si inserisce in un progetto generale di rinnovamento dell’insegnamento: potenziamento delle strutture, campagne comunicative, messaggi istituzionali coerenti, misure economiche d’impatto e poi, necessariamente, misure volte a far sì che la minoranza malfacente si adegui a uno standard minimo o trovi un altro impiego. Tenendo comunque a mente che questa, come altre professioni, presenta aspetti a mio parere non valutabili e tensioni interne che da fuori si immaginano difficilmente: non a caso gli insegnanti sono tra i più soggetti alla famigerata sindrome di burn-out, dove la dimensione del riconoscimento sociale gioca un ruolo molto significativo, ma anche l’empatia e la condivisione sono di grande e non percepita importanza.

8 commenti:

  1. L'insegnante di oggi è un "missionario" e non riconosciuto come un "professionista". Tutte zie e mamme. Sarebbe sufficiente riappropriarsi dei propri ruoli:docenti da una parte e genitori dall'altra. E il denaro? Leggendo il tuo contributo mi è venuto in mente "Filosofia del Denaro" di Simmel...ti rendi conto come un testo scritto nel 1900 possa essere così attuale?

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  2. Non dirmelo, è quello che penso ogni volta che leggo una pagina del vecchio Georg :)

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  3. PARTE I:
    Noi abbiamo una visione traviata del mondo, perché il mondo oramai ci ha traviato.
    Siamo quindi qui a discutere sulla retribuzione come riconoscimento di un ruolo.
    "Se pago molto qualcuno allora questo qualcuno vale molto". Mi sembra invece che in Italia ci sia un altro problema di fondo. Siamo arrivati ad un baratro delle professioni, o almeno di alcune professioni. Ricordo quando ero ragazzina di aver letto da qualche parte che in Russia i lavori più retribuiti erano quelli dell'operaio (ad esempio:il tagliatore di cuoio), perché aveva un lavoro duro, non appagante e logorante. Il medico, di contro, aveva avuto una vita felice. Aveva potuto portare avanti i suoi studi, i suoi ideali, e quindi era arrivato ad ottenere il suo lavoro soddisfatto, appagato e rispettato.
    Ecco il punto ..... appagato e rispettato, quindi poteva anche permettersi di non essere pagato tanto.
    Questo è il punto di fondo. In Italia essere insegnante oggi è, così come proposto alla società intera, un ruolo da parassita che percepisce uno stipendio ed ha solo dei privilegi (3 ore e mezzo per 5 giorni, due o tre mesi di vacanza .... ma non solo) per "passare del tempo con la classe".
    Ci siamo! In uno stato sociale in cui le famiglie hanno bisogno di lavorare per poter andare avanti, c'è un problema di fondo: dove piazzo i figli?
    La risposta c'è ed è logica: a scuola! Ecco che quindi la scuola non è più un posto dove si insegna, ma un posto dove piazzare i figli. E gli insegnanti sono dei "servi" a cui rivolgersi in modo sprezzante.
    Non è un problema di denaro, perché come dice giustamente Elisabetta nel commento che mi precede, chi fa questo mestiere, o almeno molti di quanti lo fanno, sono dei missionari!
    E' un problema di riconoscimento. Nessuno è più in grado di dare un ruolo preciso a questa figura, a cominciare dai “media” che ne hanno causato la maggior distruzione (sono i giornali che riportano come un tam tam il fatto che gli insegnanti lavorano poco e hanno molte vacanze).
    Nessuno ha mai pensato al fatto che controllare classi che vanno dai 20 ai 30 ed oltre studenti, e cercare anche di infondere qualche pillola di conoscenza (non oso chiamarla cultura) nelle loro teste, possa essere logorante. Ma gli insegnanti lo fanno, anche se lo stipendio è al limite della decenza per sopravvivere e, se vuoi essere un bravo insegnante, la mole di lavoro è spropositata. E' la testa che non si stacca mai da questo lavoro! I volti dei tuoi studenti, gli unici per i quali davvero merita fare questo lavoro, ti rimangono dentro....quando cammini per strada e senti "ciao Prof", quando li sogni la notte come se fossero tuoi figli, quando li segui dopo anni che li hai licenziati, e te li ritrovi che studiano all'Università, o che gestiscono un bar, o che fanno gli attori....e con il sorriso ti dicono: "Ti ricordi di me Prof". E quanti di noi, nei bivi della loro vita, si sono ricordati di questo o quello che dicevano i "loro Prof"!
    A volte questo infastidisce alcuni genitori che si sentono privati del loro ruolo di educatori, forse solo perché inconsciamente sanno di dedicare poco tempo ai figli e pensano di essere prevaricati da queste figure di riferimento sempre presenti. Ovviamente questo è un fenomeno raro, ma che con il passare degli anni sta diventando sempre più diffuso.
    Io ho avuto degli studenti meravigliosi e dei genitori meravigliosi, e sono quelli che nel quotidiano ti danno la forza di andare avanti. Quelli che anche dopo anni, continuano a condividere con te i progressi dei figli, oppure studenti che ti chiedono consigli su cosa fare nelle loro scelte future.
    Non c'è mai un reale stacco con quelli che sono stati i tuoi studenti, e solo chi ha insegnato, anche per poco, riesce a capirlo.

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  4. PARTE II:
    Di contro gli insegnanti sono esseri umani, e a volte può capitare l’insegnante “sbagliato”. E questo è un problema che va’ affrontato di volta in volta con serietà e con la collaborazione stretta tra “scuola, genitori e studenti”. Per fortuna i casi sono pochi.
    Altro caso quello del burnout che sta colpendo anche gli insegnanti più provetti … è che questo lavoro sta degenerando, per alcune delle cose dette prima e per molte altre riportate nell’articolo. L’insegnante che la società vorrebbe oggi rispecchia molto il detto “la botte piena e la moglie ubriaca”.
    Ragioniamo, e non perché sia importante lo stipendio, ma perché nella società di oggi con lo stipendio si deve vivere.
    Vogliamo degli insegnanti che:
    1) Siano al top delle prestazioni professionali in fatto di competenze e capacità
    2) Facciano un orario di “lezione frontale” (perché il resto del lavoro non è nemmeno considerato dal 90% della popolazione (media, famiglie, altri lavoratori) di 36 ore settimanali.
    3) Si occupino di tutti gli aspetti burocratici
    4) Educhino le generazioni future
    5) Lavorino senza mezzi 8dal gesso alla carta igienica nelle scuole manca un po’ tutto)
    6) Si autofinanzino per quanto riguarda l’acquisto di libri, computer, materiale didattico….ecc
    7) Siano sempre disponibili per gli incontri con famigli, psichiatri, educatori, corsi di aggiornamento
    8) Diano piena disponibilità per uscite didattiche senza remunerazione di alcun tipo
    9) Non si lamentino dello stipendio minimo che percepiscono
    Non è un problema di lamentele da parte degli insegnanti, ma quando ti capita che ti chiedano di fare un laboratorio o un corso di recupero e la remunerazione lorda sia 13 Euro l’ora (su cui paghi le tasse) e poi se devi far ristrutturare il bagno, la ditta ti chiede (con ricevuta) 29 Euro l’ora, forse, fatti due conti, uno pensa: sto a casa e mi ristrutturo il bagno da solo. Non è questione di stipendio, è una questione di “tirare avanti”.
    Molti a questo punto (Media) interverrebbero dicendo: la maggior parte degli insegnanti fa lezioni private e non paga le tasse.
    E’ vero, l’Italia è il paese degli evasori. Ed alcuni insegnanti da questo punto di vista, non fanno eccezione. Io, da parte mia, sono sempre stata contraria alle ripetizioni private. Vorrei però sapere in che forma un insegnante che decida di fare lezioni private possa dichiarare la sua attività. D’altro canto non è permesso tenere lezioni presso la propria, od altra, scuola in modo trasparente e quindi “tassabile”. Ci sono delle incongruenze…..che si trascinano da anni e che nessuno ha mai voluto affrontare e/o risolvere.

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  5. PARTE III
    Tornanto al burnout, penso sia chiaro capire che è sempre più difficile per gli insegnanti mantenere le aspettative a “soffisfazioni zero”. Questo provoca un profondo malessere, una depressione di fondo, un sentirsi inadeguati, un pensare di aver sbagliato molto nelle scelte fatte per raggiungere una certa posizione.
    La cosa che spesso ti logora è “la stagnazione”. Nella scuola capita spesso che venga smorzato quell’entusiasmo iniziale che tutti hanno intraprendendo questo tipo di professione. Una lotta contro i mulini a vento. Intoppi burocratici, moli di lavoro spesso inutili, apatia da parte di colleghi, portano ad uno stato di ansia e frustrazione che sfocia, inesorabilmente nell’apatia.
    Qualcuno reagisce cercando altri interessi al di fuori della struttura scolastica, ma questo proprio non è ben visto dal contorno. Non sei più uno della massa, ma sei qualcuno che vuole uscire e questo crea invidie e malumori tra colleghi. Conseguenza: atteggiamenti negativi nei confronti degli studenti, delle famiglie, dei colleghi, ….stato di depressione…..ansia, ineguatezza……
    Non tutti sanno reagire a queste situazioni! E non ci sono i mezzi, e neanche le figure adatte, ad aiutare i docenti ad uscire da questo tunnel. Non ci sono, perché all’interno della scuola tutti, dal gradino più alto, a quello più basso, sono oberati, e quindi il caotico stato di ansia e stress interessa tutti.
    E’ questo il problema: si pensa al futuro della scuola, ma si vorrebbe non cambiare nulla, non investire nulla. E’ un caso eclatante l’ultimo concorso ancora in atto per la dirigenza scolastica. In un paese dove abbiamo dei precari che insegnano con una posizione stabile da venti anni, si pare il concorso a chi ha 5 anni di ruolo a tempo indeterminato. Se si scorrono le graduatorie di chi sta passando i vari step del concorso, ci si rende conto che più della metà sono persone che appena entreranno in ruolo come dirigenti entro, al massimo, ¾ anni andranno in pensione. Non sono persone che investiranno sulla scuola, ma sono persone che faranno lo scatto pensionistico (perché appartengono ancora al vecchio sistema) e con tre anni si porteranno a casa una pensione invidiabile. Ma allora dove sta tutta questa voglia di investire nella scuola?
    L’ultima generazione di laureati, è lì appesa…che aspetta…ci saranno i TFA? Non ci saranno? Ci sarà il concorso? Non ci sarà? Quando ho iniziato erano partite le SSIS. Siamo stati attaccati da tutti…..I Sissini ci chiamavano, i sindacati, i colleghi, i giornali. Eravamo quelli che usurpavano il posto ai precari storici, ….ma non c’era altro modo per insegnare. O facevi la SSIS, o non entravi in graduatoria. Poi le SSIS, sono sparite……e ora? Il vuoto!
    Io non lo so, non sono un ministro e non ho la velleità di diventarlo mai. Però a volte penso che una qualunque persona di buon senso riuscirebbe a mettere un po’ d’ordine. E se ciò non viene fatto …da oramai un trentennio, forse anche questo è un gioco politico ben mirato! Questo caos, questo sbando, non è poi così casuale. Vedo un gioco ben preciso.

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  6. Un gioco che, come accade quasi sempre e non solo qui da noi, non vede assolutamente la posta in palio :) Di fatto, uno dei problemi centrali delle dinamiche di cui parliamo è la diffusa ignoranza sui processi che creano e strutturano il sociale. Socializzazione, formazione ed educazione sono termini dati per ovvi, ma sconosciuti, come dimostra il (non) trattamento della questione della famiglia come agenzia di socializzazione centrale e la conseguente cecità sulle conseguenze soggettive e sociali della sua latitanza più o meno forzata.

    Spero sia evidente che la questione economica - che farà storcere più di un naso, come al solito - viene da me trattata in senso simbolico e in certo senso rivoluzionario, per cortocircuitare il falso sillogismo che implica soddisfazione personale e retribuzione. Sono docente universitario a tempo pieno, per di più itinerante: il denaro mi interessa solo strumentalmente, per vivere più o meno decorosamente. Il problema però è che, accettando l'idea che siccome amo il mio lavoro non devo fare questioni di soldi, mi pongo in una posizione di marginalità rispetto ai criteri ordinativi della società attuale, che possono anche non piacermi, ma sono perennemente in azione e condizionano comunque il mio agire. La rivendicazione economica diviene il modo per svelare l'ipocrisia di chi invoca valori non economici NON riconoscendoli, lasciandoli come residuo di soddisfazione carbonara per i pochi che ancora li coltivano, privi però di riconoscimento condiviso. In questo modo il prestigio, l'autorevolezza che dovrebbero sostenere l'azione educativa lentamente scompaiono e il "lavoro" del docente diventa sempre più difficile, se non direttamente impossibile.

    Sono un sociologo e amo insegnare, ma non posso non notare che arroccarsi in posizioni di "santificazione" del ruolo docente è una strategia sociale perdente. Non mi piace il denaro, ma ne devo constatare la pervasività e devo farlo negando la semplice componente economica, che è la chiave di lettura che tutti chiamano in ballo senza rendersi conto che è sbagliata, e sottolineando il valore comunicativo e immaginale che oggi riveste. Così forse lo si può - il denaro - togliere dal piedestallo e restituire al ruolo strumentale che gli compete.

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  7. Si, ma il denaro, in questo gioco, non è che un mezzo per ridare dignità a qualcosa.....e quindi ci rendiamo conto di quanto sterile sia che l'educazione delle nuove generazioni, dipenda non da un ruolo, ma da quanto denaro riceva quel ruolo. Ok, allora, ma con quali modalità? Facciamo come nella ricerca di alcuni enti all'estero: ti do un sacco di soldi, ma tu devi rendicontare ogni virgola del tempo che utilizzi: risultato, la gente passa il tempo a rendicontare e la ricerca crolla....poi parlo di estero, ma ben sappiamo che recentemente nelle università italiane non è che l'andazzo sia poi tanto diverso...chi sopravvive? Chi riesce a fare progetti o a lavorare con le aziende, gli altri, quelli che una volta ci si vantava" di chiamare i liberi pensatori, soccombono, dapprima ad un Limbo in cui vengono isolati, poi, al nulla....perché quella posizione non ci sarà più! Soccombiamo dappertutto e cerchiamo di darne una motivazione.....soccombono le scuole comunali, che lasciano il posto alla gestione di fondazioni e/o peggio.....soccombono i laboratori degli istituti tecnici, perché sennò ci devono essere i tecnici......soccombono le idee, perché se le manifesti ti chiamano a casa e ti dicono che da dipendente pubblico non devi manifestarne......e allora di cosa stiamo parlando? Di santificazione perdente, o di preoccupazione reale del fatto che, ad oggi, nessuno ancora ha davvero messo mano a quello che dovrebbe essere l'unico volano per il nostro paese che, come la nave di Schettino, affonda in una farsa generale?
    Escano queste idee, escano queste demolizioni con conseguente demolizione...se ne parli, si dica che oramai il sistema "scuola-istruzione-università-ricerca" non va più e deve essere demolito per poi essere ricostruito.....ma io vedo solo tappabuchi che mettono il loro nome in questa o quella modifichetta.......ho idea che un docente inzeppato di soldi non possa riuscire a gestire una situazione dove i docenti al suo posto dovrebbero essere tre....ma lasciatelo dire, questa è solo una visione da "adetto ai lavori"......

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  8. E.C. escano queste demolizioni con conseguente ricostruzione

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