giovedì 23 febbraio 2012

Alla corsara 2 - Democrazia ed ecologia dell'azione

E' di questi giorni l'ennesima bagarre mediatica sull'articolo 18, sulla difesa ad oltranza di lavoratori poco o nullafacenti da parte delle sigle sindacali. Conserviamolo per le vere discriminazioni, si dice, ma non ne facciamo lo scudo per furbi o variamente malfattori... E' una tematica spinosa, visto l'evidente carattere ideologico dell'intera questione, ma si presta bene a esemplificare alcuni problemi insiti nel nostro modo di ragionare e muoverci nel mondo. In primis c'è da sottolineare l'affinità formale del discorso con un'altra vexata quaestio che ci allieta sovente: l'immunità dei parlamentari e delle cariche dello stato. E' a tutti evidente che lo spirito della norma non può non essere condiviso: mettere al riparo i rappresentanti degli elettori da censure o peggio, imprigionamenti o torture è sacrosanto. L'afflato ideale e il confronto con la dura realtà di un momento storico ne sono alla base, ne costituiscono la carne e il sangue; eppure l'opera della ragione - quella fantastica prostituta cui diamo tanto retta - riesce a riplasmarlo in schermo per corruzioni e collusioni, in strumento di potere al servizio di un'élite smunta e arroccata sui suoi privilegi. Schermaglie di retroguardia vengono ricoperte da un tono quasi sacrale, trasformate in una caricatura indegna.

C'è giusto un problema di indignazione, che pur tenuta a freno mi spinge - noto - a un'aggettivazione poco sobria. A parte questo, però, ci sono altri ordini di problemi, meno evidenti ma sostantivi. Da una parte non si può non registrare una latitanza dell'opinione pubblica per la quale è utile rimandare al Sennett de Il declino dell'uomo pubblico, testo di quarant'anni fa che pare scritto ieri e tratteggia con notevole perizia il successivo Homo Videns di Sartori, mettendo però in luce un movimento geologico di processi culturali del quale dovremo presto o tardi prendere coscienza. Dall'altra, invece, c'è un problema di quadri di comprensione e messa in forma del reale: l'approccio aut/aut con cui ci muoviamo nel mondo con la grazia del classico elefante nella cristalleria ha dei costi che in questi casi si danno a vedere, come anche la perenne aspirazione all'universale. Questa, già di suo, impedisce di pensare la possibilità che sotto una medesima fattispecie convivano casi empiricamente diversi o anche formalmente simili, ma contenutisticamente diversi se non opposti. Ogni attacco al parlamentare diventa così un potenziale cavallo di Troia attraverso cui poteri oscuri cercano di estendere un controllo infausto sugli organi sovrani. Anche quando i processi di selezione sono manifestamente fallimentari e la semplice decenza suggerisce tutt'altro registro. La decenza, però, come il senso comune soffre di una stigmatizzazione miope, di un alone di non razionalità che ne ha fatto un sentimento e un comportamento non più in auge, del quale quasi ci si dovrebbe vergognare. Un altro dei tributi che paghiamo al feticismo per il sapere esperto e alle tante espropriazioni che ne derivano, espropriazioni che rischiano di svuotare di senso la stessa democrazia...

L'universale non conosce sfumature, né contesti, né complessità. E il terzo escluso ne discende e vi si confonde, rafforzando la partigianeria. Mette a disposizione sia di chi è in buona fede che degli altri una catena di deduzioni automatiche per le quali, in ultima istanza, è meglio turarsi il naso una o più volte che rischiare di mettere a rischio una conquista sofferta e idealmente ineccepibile. Non è che non ci si renda conto dell'incommensurabilità tra l'idea e il caso concreto, non sempre almeno. Per quanto sempre meno persuasi di aver titolo a giudicare, l'evidenza spesso si impone. Il nostro problema, moderni Procuste, è che tra l'ideale e il quotidiano preferiamo sempre il primo e quindi il politico mafioso o il lavoratore disonesto si riparano dietro un'aspirazione, svuotandola mentre se ne fanno gioco, spesso senza rendersene conto. Come non se ne rendono conto quelli che in suo nome difendono l'indifendibile. Se riuscissimo ad accettare la nostra fallibilità su ogni piano, accetteremmo anche l'errore come parte coessenziale di ogni processo e sapremmo sceverare senza strumentalizzazioni e populismi. Se...


1 commento:

  1. Carissimo Prof...la resipiscenza non è di moda nel nostro contemporaneo...
    E se invece regalassimo, a mo di volantinaggio davanti al Parlamento, una copia dei sette saperi di Morin ai nostri cari politici?
    Meglio essere sognatori che prestigiatori...
    Come direbbe Cetto La Qualunque...la saluto stimatamente!
    Francesco Caccetta

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